Produzioni video

Servizi per cerimonie, eventi sportivi, spettacoli.

Puoi vedere i miei lavori video nella sezione video gallery


Racconti di viaggio. Leggi tutti i miei scritti nella sezione blog di viaggio

Dall’ uscio di casa alla montagna più alta. La scalata al campo base dell'Everest

La videocamera appoggiata sul sedile della macchina, nuova nella sua confezione, la mia prima videocamera. Sono passati quasi 15 anni da quando decisi di provare a fare il video maker, fino ad all’ora avevo semplicemente una bravura per fare i video, un diploma di geometra, una laurea in scienze statistiche, varie situazioni mi avevano portato ad essere in quel momento senza lavoro, decisi allora di seguire la mia passione: “Nonno faccio il video operatore”. Non avevo nessun contatto, dovevo cominciare da zero, non ero nessuno, era un salto nel vuoto, una scalata senza appigli. Mio nonno Matteo, con i suoi 90 anni, probabilmente non comprese nemmeno veramente quale fosse il mestiere che volevo fare, mi rispose con una domanda: “Tu lo sai qual è la montagna più alta?”

leggi di più

Etiopia, la promessa di Natale alle fonti del Nilo

La città dei grattacieli si apre di fronte a noi, costruzioni del futuro circondate da distese di lamiere domestiche. I chicchi verdi di caffè stanno tostando sulla brace, una preparazione lenta, un vero e proprio rito per la popolazione locale, un caffè che ci risveglia dal lungo viaggio.

Una notte in aereo, Addis Abeba si è presentata a noi quando ancora era buio. Abbiamo organizzato tutto in pochi giorni, “Matteo, dobbiamo andare in Etiopia a vedere un ospedale e parlare con il Ministro” il messaggio del dottore Agati, al quale puoi semplicemente rispondere “Dimmi solo quando e ci sono”.

Ci ha accolti Demeke, cardiologo pediatrico fiero del suo mestiere. Lo scorso anno è stato sei mesi in Italia, ha studiato al reparto di cardiochirurgia pediatrica di Taormina, dove il dottore Sasha Agati, primario del centro, è stato il suo maestro. Si è perfezionato prima di tornare a casa e cercare di salvare i bambini cardiopatici nel suo paese. Ma da soli la chirurgia non si fa; quindi la richiesta di una visita al Ministro della salute, la possibile speranza di portare in Africa l’equipe italiana per operare i piccoli.

È il giorno della ricorrenza della Santissima Trinità, le strade sono piene di fedeli copti, le teste coperte da veli bianchi, le candele, l’incenso. La folla. Mi segno con una croce frettolosa mentre attraverso l’ingresso della cattedrale, camminando, senza fermarmi, è Demeke a farmi notare l’accaduto senza che io me ne sia reso conto, un rimprovero gentile. Osservo il resto dei fedeli fermarsi dritti sulla soglia d’ingresso, farsi la croce, procedere.

In Europa la gente in strada ha uno scopo, va in una direzione precisa, ha un ritmo spesso scandito dalla fretta. Nelle grandi città africane in pochi seguono questo comportamento. Il tempo viene restituito alla sua funzione. In tanti non hanno dove andare, si spostano seguendo l’ombra, aspettano il passare delle ore.

 

Un ragazzo passa con un carico di erbe sulla testa, sono ceci, li mangiamo verdi, sbucciando un baccello alla volta, come vuole la tradizione in questo periodo.

leggi di più

La forza della resa

È capitato a tutti di dover tornare indietro sui propri passi, capita a tutti di ritenere opportuno cambiare decisione, arrendersi stremati di fronte ad un impegno fisico, modificare i piani davanti a scelte familiari, morali, sentimentali. Qualche anno fa, trovandomi al cospetto di “sua maestà”, il vulcano Etna, ho dovuto rinunciare al piacere di raggiugere la vetta, stremato e sconfitto dalla furia degli elementi, con la cima distante poche centinaia di metri, ma nascosta alla mia vista dalla nebbia e dalla pioggia gelida. La ragione, mio malgrado, mi ha suggerito che fosse meglio ripiegare, protetto dal calore del rifugio più vicino. Arrendersi non è sintomo di vigliaccheria o debolezza, è espressione di saggezza, controllo, coscienza dei limiti oltre i quali è meglio non spingersi.

 

Immagino fossero gli stessi pensieri del chirurgo, quando in un ospedale libico, si è trovato di fronte al bivio da prendere: continuare ad operare o arrendersi al problema che si poneva davanti? I dubbi affollavano la mente dell’intera equipe italiana presente al Cardiac Center di Bengasi, mentre mi trovavo in volo verso Tunisi, tappa di passaggio per il mio arrivo in Libia, in balia dei fisiologici ritardi che gli aerei accumulano da questa parte del Mediterraneo. I ragazzi si trovavano lì già da una settimana, decine di bambini operati al cuore in una missione umanitaria che si stava rivelando un successo. Finalmente, smaltiti i miei impegni di lavoro, ero pronto ad unirmi alla squadra.

Arrivo a Bengasi in piena notte, accolto dall’abbraccio di Alì. È la mia quarta volta in Libia, le immagini di alcuni luoghi si legano alle persone, rivedere volti familiari è sempre come tornare a casa. Passaporti, barriere, soldati, polvere, il buio totale della notte di Bengasi.

La hall dell’albergo è deserta, immagino che medici e infermieri siano a letto da un po’, la partenza per l’ospedale è sempre di buon’ora la mattina. Il mio messaggio sul gruppo WhatsApp per conoscere l’orario di partenza, è rimasto stranamente senza risposta.

La voce del muezzin mi risveglia all’alba, scuotendomi dalle poche ore di sonno.

Raggiungo i ragazzi ai tavoli della colazione. Caffè, aromi, preghiere, facce stanche. Cinzia mi invita a sedere accanto a lei, è la prima a darmi la notizia: gli interventi chirurgici sono sospesi, la missione è annullata. La febbre alta ha colpito dei bambini durante la fase post operatoria. Un virus? Un batterio? Pensiamo tutti la stessa cosa, ma esorcizziamo la situazione non pronunciando la possibile causa. 

leggi di più 0 Commenti

Trenta miracoli al di là del mare

“Annulé”. Il tabellone delle partenze dell’aeroporto di Tunisi Cartagine è impietoso, lo guardiamo sconsolati, il volo per Bengasi è stato annullato. Una tempesta di vento e sabbia sta spazzando le coste libiche, l’unico aereo disponibile della compagnia Afryquia, sulla cui condizioni dei velivoli preferiamo non soffermarci, è rimasto bloccato a Ryad, da qui l’impossibilità di raggiungere Tunisi e portarci a Bengasi. La speranza di riuscire ad arrivare in Libia in un unico giorno, è naufragata proprio all’ultima tappa. Una terra così vicina all’Italia, distante meno di un’ora di volo, ma così difficile da raggiungere.

 

Sembra la trama di un film sconosciuto ma già visto, pieno di imprevisti come lo sono stati gli ultimi due anni. Ventiquattro mesi sono passati dall'ultima nostra missione umanitaria. Due anni di virus, di isolamento, di tamponi, di paura, di frontiere chiuse. Due anni di: "Perché non venite ad aiutarci, perché?". Gli ultimi sono stati giorni complicati, senza nessuna certezza di farcela, senza visto, poi bloccati per due giorni nella capitale tunisina fra timbri e cancellazioni.

 

“Ma chi ce l’ha fatta fare” sembra leggersi nella faccia di Martina, infermiera al Bambin Gesù di Roma, alla sua prima missione umanitaria. Considerando la destinazione “particolare”, ha preferito non dire a tutti i suoi familiari di questo suo viaggio. “Ma chi ce l’ha fatta fare” raccontano gli occhi di Giuseppe, cardiologo al centro di cardiochirurgia pediatrica di Taormina, lo sguardo oltre il finestrino, mentre la macchina percorre la strada fuori dall’aeroporto di Bengasi, una striscia di asfalto dritta fra carcasse di aerei e case crivellate di colpi.

leggi di più 0 Commenti

In arresto per una foto. Ritorno a Bengasi: “Le cicatrici della guerra non passano mai”

Ho due anni e una cicatrice in più, me la sono fatta ad inizio febbraio cadendo dalle scale di casa. Un taglio netto sulla fronte, un solco profondo, per fortuna rimarginato in tempo per la mia seconda partenza per la Libia, due anni dopo la prima volta appunto. In mezzo il coronavirus, frontiere bloccate, viaggi annullati, visti non concessi.

 

A causa delle restrizioni prodotte dalla pandemia, ormai da due anni l’equipe di medici volontari del Centro di Cardiochirurgia Pediatrica di Taormina, è impossibilitata a realizzare missioni umanitarie all’estero. Email, risposte negative, senso di abbandono, consolati contrari, sconforto. Finalmente era tempo di tornare a Bengasi, dovevamo farlo, quantomeno per far capire che non avevamo lasciati soli medici ed infermieri. Per la dottoressa Mariam, che più volte ha chiesto con disperazione perché i medici italiani non volessero tornare in Libia, che ha sfidato consoli ed ambasciate per riportarci lì. Per le centinaia di bambini in attesa di un intervento. Per noi. Viaggio insieme a Sasha, primario del “Bambino Gesù” di Taormina. Le regole per poter partire in tempo di pandemia, sono ancora così tante da non capirci niente, un’avventura tra check-in, tamponi, imbarchi e moduli di cui è difficile capirne il senso.

leggi di più

No good morning No good night

Reportage nei territori palestinesi

Il muro. Le reti di metallo, le divise dei militari, le torrette di controllo, i fari, i chek point, i mitra pronti ad entrare in azione. I 12 metri di cemento del muro di separazione.  Tutto ti racconta che da quel punto in poi sei in una zona di guerra. Inizia così il documentario del video maker messinese Matteo Arrigo, un viaggio in Palestina tra i volti, la quotidianità, la sofferenza.

 

(articolo su Gazzetta del sud del 08/12/2016)


"O tempu a Guerra", un documentario di Matteo Arrigo, premiato alla III° rassegna di cortometraggi "Per..corti alternativi" di Villafranca Tirrena (Me)



Partner: