U cori chinu. Così lo chiamava mia nonna. Il cuore pieno. Quella sensazione che ti chiude la gola, ti pressa il petto e ti appanna gli occhi. Quel groppo che ti prende nei momenti di fatica, di scoraggiamento, di pressione. Quando senti di aver bisogno di un abbraccio, di uno sfogo, di un conforto. “Il cuore a pezzi” potrebbero chiamarlo fuori dalla Sicilia, per mia nonna era u cori chinu.
Una sera mi presentai a casa sua in lacrime. Si stava scaldando accanto al braciere. L’aria odorava di cenere e limone bruciato. Abbracciandomi e baciandomi come solo le nonne sanno fare mi disse: “Sfogati che ti fa bene. Hai u cori chinu”.

Una nuova missione umanitaria in Camerun è alle porte. Giugno non è il periodo migliore per partire per chi di professione fa il video operatore, gli eventi si accavallano, il giornale ha bisogno di coperture, i matrimoni si rincorrono. Troppe cose da incastrare.
Compongo il puzzle delle varie situazioni, sposto il volo di qualche giorno, decido di partire da solo e raggiungere il resto del gruppo direttamente in Africa. Quella che mi sembra la soluzione migliore ha invece il risultato di scontentare tutti, dal primario all’editore. Medito una notte anche di non partire più. Ma la situazione è questa, non andare servirebbe solo a calmare il nervoso ma non aggiusterebbe nulla. Sei ore di scalo a Istanbul lavorando al portatile e ripetendomi che non era il periodo migliore per partire. Le corse, la trasmissione, i video da consegnare, i messaggi non letti per giorni. Le mancanze. U cori chinu.
Una lampadina a bulbo accesa. Il venditore di cerchioni è lì, una luce nella notte di Yaoundé. La scritta Michelin disegnata con la vernice sul legno della baracca. Lo ricordavo in quel modo da marzo, la prima volta che sono stato nella capitale camerunense. La città si calma con il buio, niente polvere e clacson, ma c’è sempre una bancarella illuminata. In Africa c’è sempre qualcuno che aspetta. A sperare che qualcuno possa avere bisogno di cambiare un cerchione o un copertone in piena notte.
Ci ho messo il tempo della strada dall'aeroporto all'hotel per capire che in Africa ci dovevo tornare.
Giugno non è il periodo migliore per partire, ma ogni cosa succede perché è il momento giusto.
L’hotel, le palme, il laghetto. Da quanto tempo non ci fermiamo più ad ascoltare le rane gracchiare?

Cuori da salvare
I ragazzi hanno cominciato gli interventi al General Hospital. Per la prima volta nel paese, grazie al finanziamento della Onlus Una voce per Padre Pio, si stanno realizzando degli interventi di emodinamica pediatrica, accanto alla tradizionale cardiochirurgia, applicando le più avanzate tecniche non invasive normalmente utilizzate nei paesi occidentali. Questo approccio permette di riservare la cardiochirurgia solo ai casi più complessi, riducendo i rischi e migliorando la qualità delle cure. Per fare questo abbiamo portato dall’Italia dispositivi e attrezzature.
Una settimana di missione ha per l’associazione un costo di circa 100 mila euro. Qui la sanità non concede cure gratuite, ai genitori viene chiesto anche di provvedere alla sistemazione del letto in terapia intensiva.
Lo stipendio medio è di circa 100 dollari al mese.
La mamma di Federica ha comprato le lenzuola troppo piccole. Quando si è accorta che non andavano bene, ha pianto. Non aveva più soldi per comprarne altre.
Miriam ha 4 anni, viene dal Ciad, ha un’infezione alla valvola mitralica, gravemente danneggiata a causa di una malattia reumatica, è sotto i ferri per la riparazione.
La valvola mitrale, si trova tra l’atrio e il ventricolo sinistro del cuore. La sua funzione è quella di regolare il flusso sanguigno tra queste due cavità, evitando che il sangue torni indietro una volta spinto nel ventricolo.
A cuore aperto, si scopre che la valvola è irrimediabilmente compromessa: serve impiantarne una meccanica. La decisione viene presto presa, l’unica valvola a disposizione non è della sua misura ma è la sola opzione per salvarla. La mamma prega in corridoio usando un condizionatore come inginocchiatoio. Impiantarla comporta alti rischi ma è l’unica valvola portata dall’ Italia. Portata perché era destinata a un altro bimbo.
Durante la missione medica di marzo in Camerun, i medici italiani avevano selezionato il caso del piccolo Prince, un bambino affetto da una grave patologia della valvola mitrale. In vista della missione chirurgica di giugno, era stata predisposta ogni cosa: dall’Italia era stata portata una preziosa valvola meccanica, su misura, da impiantare proprio su di lui.
Ma le cose non sono andate come previsto. L'emergenza improvvisa ha richiesto l'utilizzo immediato di quel costoso dispositivo, che è stato impiantato su Miriam per salvarle la vita.
Prince e sua madre erano in corridoio pronti per l’ultimo intervento di giornata, avevano affrontato un durissimo viaggio di tre giorni per raggiungere l’ospedale di Yaoundé, quando hanno detto alla mamma di Prince che il dispositivo era stato utilizzato, e l’intervento del figlio sarebbe stato rimandato alla prossima missione, era impietrita, incredula. Le lacrime composte di una mamma. Un viaggio di 70 ore in macchina, i costi per loro quasi proibitivi, sacrifici, migliaia di chilometri pieni di speranza e adesso costretti a rientrare a casa.
È così partita una corsa contro il tempo per trovare una valvola compatibile prima della fine della missione. C’è una possibilità in Senegal, Enzo mi chiede se sono disponibile a partire la sera stessa per andarla a prendere. Mi tengo pronto. Si fanno altre telefonate, impossibile pensare di farla arrivare dall’Italia, tempi e logistica troppo lunghi. La risposta positiva arriva dal Cardiac Center di Shisong, città nel nord del Camerun, nell’ospedale gestito dalle suore hanno una valvola della misura giusta.
Il giorno dopo, non appena il dispositivo è giunto a destinazione, il team medico è intervenuto: l’impianto chirurgico è riuscito perfettamente. Dolorante, la garza bianca a coprire la lunga cicatrice, ma fuori pericolo.
Le operazioni eseguite dal chirurgo Sasha Agati, hanno riguardato patologie complesse in fase avanzata, spesso non trattate tempestivamente per mancanza di accesso alle cure. Anche gli interventi più “semplici”, come la chiusura di un dotto arterioso di Botallo, in queste condizioni comportano rischi elevati in pazienti con cuore compromesso e gravi conseguenze sistemiche.
L’équipe del Centro di Cardiochirurgia Pediatrica del Mediterraneo di Taormina, ha sempre affrontato anche le patologie più gravi, operando in condizioni spesso difficili ma sempre con professionalità e umanità. 26 bambini sono stati restituiti alla vita. Sommati ai 24 di marzo, sono 50 miracoli, 50 famiglie che hanno ritrovato la felicità.

Pioggia, fango e tappi
La strada scorre tra fiumi di gente, siamo diretti a Obala dove si sta costruendo la nuova scuola. Pensiline, bancarelle, tavolini, frutta, bottiglie. L'africano cerca di sbarcare il lunario come può, per strada vende divani, piante, persino tombe con le lapidi.
Piccoli motocicli sui quali stanno ammassate anche cinque persone, i neonati incastrati tra pancia e schiena, intere famiglie su un sellino. Senza caschi e possibilmente contro mano.
La città lascia posto alla campagna, terra rossa.
Le strade sono piene di fango a causa degli immancabili acquazzoni del periodo. A cavallo dell’equatore non esistono le stagioni regolari, solo quella secca si alterna alla stagione delle piogge. Dal finestrino del pullmino osservo un’umanità che si muove, in ogni direzione, per fare qualcosa.
Il pulmino arranca nel fango. Gocce grosse come secchi d’acqua, bambini scalzi. La gente che saluta sorridendo dalla soglia di una capanna.
La scuola è chiusa per le vacanze, il nuovo cantiere procede a rilento per vie delle piogge.
Dei bambini stanno giocando sdraiati sotto un tetto. Mbappé, Vinicius, Salah. Courtois tra i pali, numero 1.
Tappi di bottiglia rivestiti di carta diventano calciatori, fogli piegati per fare le porte, il campo disegnato sul pavimento di cemento. Il pallone, un pezzetto di carta arrotolato. È una mattina che odora di pioggia e terra in un villaggio sotto le acacie. Qui si gioca a subbuteo della giungla, fatto di ingegno, fantasia e cuore. I piedi scalzi, le magliette bucate. Nessuna app sul cellulare. Poesia e sudore, felicità fatta a mano. Nessun pensiero per concerti da seguire. Nessun odio, nessuna competizione che non finisca con un sorriso. Tiro di Camavinga. Ed è gol.

Lezioni africane
Ho salutato Prince prima di lasciare l’ospedale, chissà se un giorno saprà che è vivo grazie a un dispositivo arrivato all’ultimo minuto. Non volevo piangere ma dovevo almeno vederlo un minuto. L’amore che si riesce a provare per questi bambini in pochi giorni è qualcosa per cui non esiste una logica.
U cori chinu.
È l’immagine dei volti dei bambini che mi porto mentre il bus mi accompagna in aeroporto.
Non volevo nemmeno venire in Camerun. Ma credo nelle connessioni, nelle coincidenze, evidentemente anche questa volta l’Africa doveva insegnarmi qualcosa, e lo ha fatto.
La verità è che gli esseri umani hanno bisogno di amarsi, e lo fanno anche di fronte al dolore, anche se qualche volta gli si spezza il cuore. Ma averlo spezzato a volte è un buon segno.
Ci ho messo giusto il tempo della strada dall’hotel all’aeroporto per capire che esiste un modo giusto per farlo, la giusta versione di avere u cori chinu.
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