Buddha si è fermato a Comiso. Gyosho Morishita, il monaco che fermò i missili

Le gambe incrociate, la schiena dritta, sono seduto in terra da pochi minuti ma già la posizione comincia a starmi scomoda, sento il formicolio ai piedi, i polpacci che tirano, mantenere la postura dritta diventa quasi uno sforzo fisico, il sudore scende sulla schiena. “Nam myoho renge kyo”, un mantra ipnotico e continuo, una lamentosa ninna nanna regolata dal suono del tamburello, il reverendo Morishita scandisce il tempo senza sosta, mantenendo la posizione del loto senza battere ciclo. L’altare è illuminato dal caldo sole estivo del primo pomeriggio, le candele riempiono l’aria di un odore dolce.

 

Ero passato solo per farmi conoscere, invece mi ritrovo da mezz’ora seduto in terra a cantare al suono del tamburo, non sono riuscito a dire no all’invito del monaco: “Solo una preghiera e per l’intervista ci vediamo domani”. La testa calva, sopracciglia cespugliose e bianche. Cosa ha portato questo strano personaggio nel centro esatto della Sicilia? Quaranta minuti di preghiera ininterrotta, faccio fatica a rimettermi in piedi, le gambe sono addormentate. Ci diamo appuntamento per le 5 dell’indomani: “Puntuale mi raccomando”, più che un invito è un comando. Da anni è quello l’orario d’inizio della sua preghiera mattutina, per sicurezza mi lascia le chiavi del cancello nel caso in cui dovessi trovarlo chiuso: “Alle 5. Puntuale”.

Il centro di Comiso è deserto, è notte fonda. Lasciato l’abitato la strada diventa campagna, nel buio totale attraverso una distesa di pascoli, la via si fa in salita, una striscia di terra battuta si inerpica fino in cima alla collina di contrada Canicarao. Aiutato dai fari della macchina tolgo il lucchetto dalla sbarra e raggiungo il parcheggio. L’orologio sul cruscotto segna le 5:05. Scarico in fretta le borse, tiro fuori la videocamera proprio nel momento in cui Morishita esce dalla porta del tempio. Mi avrà sentito arrivare, ma si muove come se intorno a lui non ci fosse nessuno. Un colpo sordo. Il suono del tamburo rimbomba nel silenzio della campagna buia, il mantra della sera prima ricomincia mentre in cerchio il reverendo percorre ininterrottamente la circonferenza della pagoda, un Buddha dorato ci guarda seduto. La prima luce da oriente colora il cielo di un pallido arancione. La preghiera si trascina uguale per parecchi minuti, fino a quando il monaco lascia la pagoda e volta il corpo verso est, quasi richiamato da un comando, nel preciso istante in cui i primi raggi della palla infuocata spezzano il profilo nero della montagna. Il mantra cambia, la voce diventa melodia; è un canto dedicato al nuovo giorno nascente, la pianura sotto di noi si illumina di colore, il bianco dei muri viene colpito dal primo sole della giornata, il Buddha sembra risplendere di luce propria. Il bosco si sveglia dal torpore notturno, il calore del sole ci avvolge. L’ultimo colpo di tamburo segna la fine del rito. Morishita, senza quasi guardarmi, finalmente formalizza la mia presenza fisica rivolgendomi la parola: “Tu arrivato 5 minuti di ritardo”.

Un faro nel buio del mondo

Restituisco le chiavi del cancello, insieme entriamo a fare colazione per poi registrare l’intervista. L’abitazione è un piccolo fabbricato in mattoni. Nella parte davanti si trova il templio vero e proprio, l’altare dedicato a Buddha, fiori e offerte alimentari riempiono le mensole. Nella parte posteriore la stanza da letto e una cucina inondata di buste, scatole, latte, biscotti, bottiglie. Il reverendo mette sul gas il pentolino con il latte, spalma del burro sopra delle fette di pane e insieme ci sediamo a fare colazione.

Gyosho Morishita, giapponese, ex direttore di banca, oggi monaco buddista. La sua storia in Sicilia ha inizio nei primi anni ottanta, in piena Guerra Fredda. E comincia in un punto esatto. Dove oggi a qualche chilometro da qui atterrano e decollano aerei di linea, un tempo sorgeva la più importante base militare del sud Europa, la “Vincenzo Magliocco” di Comiso. Nel 1982, nella base Nato vennero installati 112 missili Cruise a testata nucleare. In quegli anni venivano organizzate tantissime marce per la pace in tutto il mondo. Morishita, dopo aver camminato per l’America e l’Europa, arrivò a Comiso. Si rifugiò in campagna insieme al movimento pacifista, in contrada Verde Vigna, un terreno di circa un ettaro coltivato ad ulivi, podere confinante con la ex base militare. Da ogni parte d’Europa giunsero moltissime persone per protestare pacificamente contro l’imminente e reale pericolo di una guerra nucleare. Quel piccolo comune siciliano in provincia di Ragusa, era piombato al centro delle cronache. L’eco della protesta superò lo stretto di Messina per raggiungere le più importanti piazze italiane, oltre anche i confini nazionali, l’isola venne raggiunta da pacifisti provenienti da tutto il mondo.

Tra loro c’era appunto Gyosho Morishita, col suo abito arancione e il tamburo, doveva sembrare quasi un alieno. Si accampò in una tenda e restò lì per anni.

Nel 1991, con il disgelo sovietico e la fine della Guerra Fredda, la base iniziò ad essere smantellata. Ma Morishita decise di restare, dal campo di Verde Vigna si spostò in collina. Non era raro vedere il monaco in giro per Comiso, dalla Torre di Canicarao scendeva tutti i giorni e si recava con un tamburello in giro per la città a proclamare la pace. Anni in cui sembrava un marziano, ricorda chi quegli anni li ha vissuti, quando ancora la dottrina del rispetto dell’ambiente era lontana, il monaco era considerato un personaggio strano, un pazzo. Un racconto, divenuto poi leggenda popolare, dice che durante una sua discesa in paese, dei ragazzini gli rubarono il cappello importunandolo ripetutamente. Più volte il monaco ne chiese la restituzione mentre i ragazzi lo sbeffeggiavano, ormai spazientito reagì con delle mosse di arti marziali, mettendo kappaò i molestatori e recuperando il suo cappello. Un racconto divenuto leggenda, smentito più volte dallo stesso monaco, ma ormai radicato nelle storie dei comisani.

“Perché?” è la domanda che gli faccio, “Perché restare in Sicilia, e perché proprio su quella collina?”. La scelta del luogo non fu per niente casuale. Durante i giorni di protesta alle porte della base militare, tutte le mattine all’alba il monaco recitava la sua preghiera, i primi raggi del sole sorgevano proprio dalla sagoma della collina che in seguito scelse per costruire la sua pagoda.

Con le sue stesse mani e con l’aiuto di alcuni amici, in quel pezzo di terreno che nel frattempo gli era stato regalato, nel giro di otto anni costruì la quarta “stupa” d’Europa. Unica in Italia, la pagoda è alta 16 metri e ha un diametro di 15, con una cupola rotonda e un pinnacolo finale. Una bellissima Pagoda della Pace svetta oggi sui monti Iblei, bianca e imponente, spicca inconfondibile sulla collina di Canicarao. Un luogo simbolico, un punto energico, al centro del Mediterraneo, dove Africa ed Europa s’incontrano, dove l’occidente guarda ad oriente, un “Faro che illumina il mondo”, come la definisce Morishita.

 

Dalla sua inaugurazione, avvenuta nel 1998, circa 20 mila persone hanno visitato fino ad oggi la Pagoda. Si racconta che molti vip, con i favori della notte, si rechino a pregare insieme al reverendo, c’è chi giura di avere visto Roberto Baggio e Richard Gere passare in macchina dal centro di Comiso.

La Pagoda per la Pace di Comiso
La Pagoda per la Pace di Comiso

Quarant’anni sono passati dall’arrivo del reverendo in Sicilia, oggi vive nella casetta annessa alla pagoda e prega ogni giorno per risvegliare il desiderio e la volontà dei popoli per la pace. La sua giornata inizia sempre alle 5 del mattino, sotto l’ala protettiva del Buddha dorato, scandita dal suo mantra “Namu myo ho ren ge kyo", parole che significano “pace, grazie, lode, benvenuto”.

La forza, e al tempo stesso la tranquillità trasmessa dalla sua figura e dal luogo, è qualcosa di curativo per l’anima. Lo lascio con l’ultima domanda: “Senza gesti clamorosi, senza edificare pagode, cosa può fare ciascuno di noi per costruire la pace?”  Incrocio il suo sguardo oltre lo schermo della videocamera, attraverso il bianco delle sopracciglia: “Bisogna sempre rispettare gli altri. Il rispetto, questa è la cosa più importante per la convivenza fra i popoli”.

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