Siamo stati tutti bravi. Poi un giorno mi sono svegliato positivo al covid

Fa più freddo questa mattina. Pioggia di novembre. Dalla finestra vedo le arance mature nel mio giardino.

Lo stesso albero che guardavo a marzo, quando ormai erano asciutte e stavano cadendo. Due stagioni fa.

Il coronavirus, la primavera, il lockdown, la zagara in fiore, le giornate in casa, le mascherine, l’autocertificazione, palestra si, il distanziamento, danza no, l’estate, musica ad orario, il Covid, l’autunno, i Dpcm, le distanze. Le arance che maturano.

Siamo stati tutti bravi in questi mesi. Prima in casa, poi fuori, ma con le giuste distanze e sicurezze.

Grazie al mio lavoro di giornalista/video operatore, ho fatto una quarantena “larga”, riuscivo ad uscire e lavorare.

Ero al porto di Messina quando il sindaco ha “bloccato” le Caronti, ero a guardare gli occhi terrorizzati (vedevo solo quelli) degli operatori sanitari, mentre dalla Casa di Riposo “Come d’incanto” si tiravano fuori le prime povere vittime messinesi del Covid.

 

Tornavo a casa e disinfettavo i cavi, il microfono, con la varichina. Avevo paura? Si. Ma è quella che ti fa lavorare, paura non incoscienza.

Dalla prima vera riapertura del 7 giugno, sono tornato anche a fare il mio lavoro di video operatore di cerimonie e spettacoli.

Questa estate ho filmato circa 50 eventi: battesimi, diciottesimi, matrimoni. Se facciamo un calcolo veloce, con la media di 100 presenti ad evento, siamo sulle 5 mila persone incontrate.

Migliaia di persone: in chiesa, ristoranti, palchi, alcuni non portavano la mascherina, gli sposi no, i parenti sì, ma se stretti no, ma io sono stato sempre attento.

Ho usato la protezione anche quando in alcuni locali non ce la chiedevano, e non ho obiettato quando ci dicevano di portarla dove non c’era necessariamente bisogno.

Abbiamo lavorato in cerimonie con fuori 40 gradi, noi con la mascherina a sudare e respirare a stento.

L’abbiamo fatto perché era giusto e sicuro per noi, perché dovevamo dare il buon esempio, e perché dovevamo pagare le tasse che lo stato non ci ha bloccato, perché i 1200 euro di contributi avuti in pandemia, li avevamo già in parte versati indietro all’Agenzia delle Entrate alla scadenza di fine giugno.

Non potevamo fermarci e siamo stati bravi. Noi fotografi, giornalisti, cosi come gli infermieri con le tute, i baristi bardati, i ristoratori diventati architetti e gli artisti trasformatosi in muratori per poter tornare ad aprire palestre e locali.

 

Quelli che hanno avuto la possibilità di riuscirci.

Sono stato bravo e attento. Poi una mattina di novembre mi sono svegliato ed ero positivo al Covid.

 

Non sono andato a fare “schiticchiate” ai colli S.Rizzo, all’aperitivo corona-free, al party di Halloween, non ho fatto passeggiate al pilone, non sono andato a vedere i motocross nella spiaggia di S. Margherita. Il sabato sera ho bevuto l’amaro con i miei amici in video conferenza. Sono stato bravo.

Siamo stati tutti bravi fino a quando ci è andata bene, e a chi andava male era colpa loro.

 

Se questa estate il virus fosse stato veramente presente tra le nostre strade, sarebbe stata una strage.

Rientrando in mattinata dalle mie cerimonie, ho raccolto i vostri figli mentre tornavano a casa in paese a piedi, in condizioni “discutibili”, mentre i lidi erano chiusi e l’alcool girava in spiaggia.

Siamo stati tutti bravi a farci i selfie in mascherina en pendant con il costume da bagno o le mutande. Tanto le cose brutte erano lontane da noi. I positivi e gli ospedali pieni erano solo al nord.

La gente ha ripreso a buttare la spazzatura per strada; me li immaginavo scaricare amianto nei torrenti, lanciare la busta dei rifiuti dalla macchina in corsa, bruciare sacchi neri in campagna e poi andare da moglie e figli a raccomandarsi “mettetevi la mascherina e mantenete le distanze”.

Ad igienizzarsi bene le mani prima di entrare in bottega a comprare il pane.

Ci siamo dimenticati subito gli arcobaleni e la musica dal balcone, l’inno nazionale e il “andrà tutto bene”.

 

Non siamo stati più bravi di altri contro il virus, siamo stati più fortunati.

E infatti a novembre a Messina ci siamo svegliati ed eravamo positivi al Covid. Dal centro ai villaggi.

Nell’immaginario del vicino “sano”, le strade del mio paese sono diventati lazzaretti. La mattina sento quasi il rumore delle ruote del carro passare sulle mattonelle a raccogliere morti e segnare le porte degli untori!

Le voci di chi andando a fare la spesa e si interroga su chi è stato l’ultimo contagiato:

“due sono li.. il marito si e la moglie no.. una sola, la sorella.. e la nonna?.. brutta gente.. ma com’è possibile..”

Tutti sensibili a condividere le foto degli artisti che quest’anno di merda ci ha portato via, a mettere l’emoticon “abbraccio” Giiggi.. Sciion.. non ti dimenticheremo mai, mentre con i familiari aggiornano la lista dei possibili contagiati su qualche gruppo WhatsApp.

Non siete stati solo bravi.

 

Un noto dottore epidemiologo messinese, raccontava oggi come ormai la diffusione sia capillare, lo dicono gli esperti, lo dicono i numeri, il virus è presente in tutte le famiglie. Impossibile da tracciare.

 

Puoi metterti alla guida mettendo il casco, la cintura, puoi non correre e camminare con “quattro paia di occhi”, ma non è detto che avrai reso a zero la probabilità di un incidente.

Hai fatto bene a mettere la mascherina, rispettare il distanziamento e lavato le mani. 

Ma tu che sei negativo non sei stato più bravo degli altri.

 

Pensavo che non potesse prendermi. Vedevo solo amici stretti. Quando vedevo gente estranea avevo la mascherina, sempre. Come poteva prendermi. Eppure l’ha fatto

 

Dal momento in cui ho avuto qualche sospetto di contagio mi sono messo in guardia. La linea della procedura ufficiale non lo prevedrebbe, ma ho cominciato ad evitare i contatti con la gente.

Ho solo la febbre per una notte, non ho altri sintomi, mi metto in isolamento, prenoto il tampone.

Alla clinica regna un’approssimazione non più guardinga, probabilmente figlia del tempo infinito ed estenuante da cui va avanti tutto questo.

 

Suona, distanza, detergi, documenti, firma, tampone, password, email. 

Apro il file zip. SARS-CoV-2 Antigen Rapid Test, Tampone di primo livello: Positivo.

Da procedura avviso il medico, lui inoltra all’Asp. Il pomeriggio stesso ricevo la chiamata e poi la mail per la convocazione al tampone molecolare in DRIVE IN al parcheggio verde dello Stadio S.Filippo.

 

Salgo al primo piano della casa che condivido con mia sorella e comincio a formare una disordinata pila di vestiti e biancheria pulita, come se avessi nelle orecchie le sirene anti bombe e il ronzio degli aerei sempre più vicino! Preparavo la mia fuga al bunker.

Pensavo ai miei e a quelli con cui ero stato a contatto, non scappavo dal pericolo, lo stavo facendo scappare sulle mie gambe. Dovevo allontanarmi.

Ho approntato lo studio dove lavoro per affrontare la quarantena. Un locale di circa 20 mq; ho un bagno, due finestre, un letto e il mio computer su cui posso lavorare e scrivere.

Qui non ho cucina, cosi sono i miei genitori a lasciarmi il cibo cucinato fuori dalla porta. Lavo le mie posate nel lavandino, i piatti e le pentole. Quello che devo restituire vuoto lo metto sullo stesso tavolino fuori dalla porta.

 

Sono totalmente in isolamento dal primo dubbio, non ho visto più nessuno. Ne genitori, ne colleghi, ne amici.

 

La prima medicina è il buon senso e il rispetto. Signori siamo in guerra. L’atteggiamento di ostilità non serve a nessuno.

Tutti con la soluzione pronta, ma nessuno che avrebbe voluto mai essere nella posizione di prendere decisioni per centinaia, migliaia, milioni di cittadini.

E come farlo se in molti non ci sono riusciti nemmeno in famiglia.

È questo è sicuro, quanto il fatto che il Covid c’è.

 

Poche settimane fa è venuto a mancare uno degli ultimi miei compaesani ad aver vissuto la guerra. Ho rivisto il suo ultimo video registrato insieme, è stata anche l’ultima volta in cui ho avuto il piacere di incontrarlo in vita.

Mi raccontava degli episodi di solidarietà in tempo bellico; la gente sfamava il soldato, accoglieva il vicino rimasto senza nulla. Nel suo italiano “camilleriggiante”, don Peppino finiva il video dicendo che quello doveva essere un episodio “ricordante e insegnante”.

Vorrei tanto che lo fosse anche questa pandemia per tutti.

 

La radio passava Jovanotti mentre andavo a fare il tampone molecolare allo stadio. Nessuna fila al parcheggio, bastoncino nelle narici e via. Tutto rapido e veloce. Quasi quasi mi è dispiaciuto non aver perso ancora un po’ più di tempo fuori prima di richiudermi in casa. Se ci fosse un “covid advisor” per le l’Asp, la mia recensione sarebbe da 9. Almeno fino ad adesso.

Purtroppo leggo anche di file interminabili in altri giorni, ritardi lunghissimi nei comunicati.

Il giornale orario parlava già di terza ondata di febbraio.

 

Sono in attesa di ufficialità positiva anche al secondo tampone. Fra quei numeri che scorro sui siti internet, oggi ci sono anche io.

Sto bene, niente febbre a parte quella notte a 39° (per noi uomini la porta dell’inferno), ho un forte abbassamento della voce (ma tanto non devo parlare con nessuno), un po’ di bruciore al respiro.

Per il resto faccio ginnastica, passeggio nei miei 10 metri di lunghezza, scrivo articoli e sono già a parecchi video di cerimonie montati e pronti per la consegna.

 

Non ho preso il covid questa estate quando sono stato a contatto con migliaia di persone, l’ho preso oggi magari per una disattenzione, mani non lavate, mascherina messa male.

Siamo stati tutti bravi fino a quando è andata bene a noi.

Ma non siamo stati solo bravi, siamo stati fortunati.

Siamo stati tutti bravi fino a quando è successo agli altri, fino a quando il virus era lontano, poi siamo diventati cattivi.

C’è gente che sta male veramente e lo starà ancora. Ci viene chiesto solo rispetto e attenzione. Torniamo a essere umani.

 

 

Oggi piove, una compagnia il rumore dell’acqua. Sto mangiando un’arancia, e ne sento anche il gusto.