Nuove frontiere del turismo: Montenegro ed Albania

 Attraverso la porta sud della città sotto lo stemma della Repubblica di Venezia, poco oltre le antiche mura medioevali. Il primo scalino, il secondo, uno dietro l’altro senza riposo. La posizione del castello di San Giovanni, arroccato in cima al monte, mi costringe ad alzare la testa e guardarlo quasi in verticale, in una posizione che doveva essere praticamente inattaccabile.

 

Un passo dopo l’altro senza un filo d’ombra che mi dia respiro sotto il sole di luglio, fino in cima, 1300 scalini oltre la porta, dove solo poche persone si avventurano.

Sudato fradicio e con la testa che mi gira per il troppo caldo, scorgo un omino seduto a terra con accanto un campionario di bibite fredde. È un miraggio e un toccasana per chi arriva fin lassù sfinito.

Il primo pensiero che mi viene in testa è però alla fatica che quest’uomo, probabilmente tutti i giorni, fa nel compiere una “scalata” con addosso frigo termico portatile carico di acqua e bevande varie.

Mentre il liquido fresco mi ridà un po’ di lucidità, gli chiedo come gli sia venuto in mente di fare questo lavoro, alza la testa e mi indica una direzione con la mano: “perché i turisti mi danno da vivere e perché tutti i giorni posso vedere questo”.

Una scena che è un miscuglio fra fiordi norvegesi e villaggi italiani; una nave da crociera ha tolto gli ormeggi, sta lasciando il porto a picco sotto di noi, alcune centinaia di metri più in basso.

L’imbarcazione si allontana oltre i tetti rossi delle case, verso le alte pareti rocciose delle bocche del Cattaro.

Kotor, cittadina del Montenegro, centro medioevale ben conservato, iscritto nella lista dei patrimoni UNESCO. Dall’inizio degli anni 2000 migliaia di turisti vi giungono sulle navi da crociera, in un porto che è diventato una tappa classica delle crociere sull'adriatico, al pari delle più blasonate Dubrovinik e Venezia.

Veduta su Kotor dal castello di San Giovanni
Veduta su Kotor dal castello di San Giovanni

Appena un braccio di mare separa l’Italia dalla penisola balcanica, una terra con i paesi dell’ex Jugoslavia che negli ultimi anni sono cambiati e stanno cambiando velocemente.

I montenegrini si sono aperti al turismo, fornendo strutture ricettive di livello alto ed ampia scelta, possibilità di escursioni e attività di svago, e anche una cucina di qualità; difficilmente troverete un posto dove si mangia male e con prezzi alti.

Budva ne è l’esempio: capitale di questo vento nuovo, presa d’assalto dai turisti attratti dalle ampie spiagge e locali notturni. Molti stranieri hanno investito costruendo alberghi in quantità.

 

Una vita notturna che sembra voglia raggiungere lo stesso livello delle sorelle del mediterraneo spagnole e greche, chissà che continuando con questa tendenza non possa riuscirci.

La strada si inerpica sulle colline mentre mi porta alla frontiera con l’Albania. I campanili lasciano il posto ai minareti, piccoli cimiteri mussulmani e moschee mi accompagnano oltre la barriera del confine albanese, dritto verso Scutari.

L’ingresso in città è un salto in un mondo lontano dall’immaginario europeo, rivivo le sensazioni delle mie prime volte in Turchia e Palestina.

La strada è viva di cani e bambini scalzi e sporchi, dietro le tende delle abitazioni s’intravedono quadri di una vita abbastanza povera. All’ombra del minareto della moschea, in una postazione rialzata, siede una signora dalla corporatura imponente, immersa in un divano quasi fosse un trono, attorniata da bambini e adulti. Sembra la “regina” di quel degrado, quasi una sentinella, un controllore, messa in quella posizione strategica a garanzia del quartiere e dell’unica strada d’ingresso verso il lago.

La riva su cui si trova il mio alloggio è un cantiere di ruspe e polvere, il figlio del proprietario, un ragazzino poco più che bambino, coglie il mio disagio e con lo sguardo quasi implorante attende la mia decisione.

La zona sembra offrirmi poco altro, rincuorato dalla mia scelta di restare mi promette una cena con un’anguilla di lago freschissima, non mente, il pesce ci guarda da una vasca alimentata con un tubo di gomma che pende dal soffitto.

Mi trovo di fronte a gente umile, dallo sguardo duro che in un primo momento tradisce l’animo gentile di questo popolo.

 

Spontanei e generosi, come i popoli che hanno conosciuto la vera fame e privazione. Nonostante abbiano ancora da affinare i modi di fare con gli stranieri, hanno capito che i guadagni presto arriveranno loro fin dentro casa, sulle gambe di turisti e visitatori.

Quando penso all’Albania, rivado indietro al mio primo ricordo di bambino legato a questa nazione. Era il 1991, la cortina comunista nell’Europa dell’est era totalmente caduta, la nave Vlora arrivò in Italia carica di circa 20.000 mila albanesi, erano cominciate le grandi migrazioni di massa di un popolo privato per anni di beni e diritti.

Oggi, a quasi 30 anni di distanza, milioni di persone attraversano l’Adriatico nel senso inverso, su navi da crociera e di linea, per arrivare nella penisola balcanica da vacanzieri.

Una nuova frontiera del turismo, un’immigrazione al contrario, con molti italiani che stanno andando ad investire in Albania in strutture ricettive e attività.

Il territorio offre molto, gli scenari sul lago di Scutari sono da favola, si nota però parecchio l’assenza di punti di informazione e possibilità di attività giornaliere, quali escursioni e visite guidate.

In città molte persone vivono in condizioni di povertà, il campo Rom conta parecchi “residenti”.

Ai margini della baraccopoli sorge un piccolo luna park, un’oasi che regala qualche “sogno a tempo” per i tanti bambini che girano scalzi e sporchi nei dintorni.

Grida felici arrivano dai pochi bambini su trenini e cavalli dondolanti. Due ragazzine osservano quel gioco di luci e colori dal di fuori della recinzione, mi avvicinano chiedendo l’elemosina come fanno in molti qui, ma per loro è diverso, mi indicano le giostre, mi fanno capire che non è per poter mangiare ma per poter entrare oltre le transenne da protagoniste.

 

Gli allungo i pochi spiccioli che mi ritrovo in tasca, con il sorriso stampato in faccia le vedo correre via tra la polvere delle loro infradito, verso un sogno a tempo della durata di un giro di giostra. 

Il tramonto regala riflessi e colori sulla superficie del lago. Al mio rientro in ostello il proprietario è lì ad aspettarmi sulla strada, sbarra l’entrata al garage con un lungo tubo di metallo e copre la porta d’ingresso con una rete di metallo.

Nel pomeriggio una turista inglese si è infilzata un amo da pesca in un polpaccio mentre faceva il bagno nel lago. È arrivata nel cortile sanguinante, le hanno tirato fuori l’amo con una pinza da elettricista e disinfettato il tutto con la vodka e un tovagliolo del ristorante.

Sono tutti membri della famiglia a gestire la struttura, dall’accoglienza alla cucina.

L’unica a parlare inglese è la figlia, ma vive confinata da un aspetto legato ai ruoli della famiglia, limitata nelle sue idee di apertura verso la gente.

Ad ogni mia richiesta andava a chiedere il permesso al fratello maggiore o al papà, anche per una bottiglia d’acqua.

L’ultima immagine che mi porto dall'Albania sono i suoi occhi mentre lascio la città, tristi ma con un velo di speranza sorridente.

C’è molto da fare, ma sono sicuro che il turismo ben gestito, potrà portare benefici a questa umile gente.

Viaggiate e cercate di capire chi state trovando a casa loro. Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, semplicemente si sposta da un luogo geografico all'altro.

Un viaggio che mi ha fatto comprendere come dalla sofferenza di questo popolo sia potuto nascere un futuro diverso e migliore.

 

A solo un braccio di mare da casa nostra, una terra dalle grosse potenzialità che vale la pena di essere vissuta e scoperta.


Scrivi commento

Commenti: 0