Tra i vari libri passati sul comodino della mia adolescenza, due più di tutti hanno alimentato i miei futuri pensieri, due testi che mi trasportavano fuori dalle coperte sotto le quali leggevo, due capolavori di Jules Verne:
“Il giro del mondo in 80 giorni” e “Viaggio al centro della terra”.
Gli unici due libri della mia libreria, sopravvissuti negli anni ai vari spostamenti di mobili e sistemazioni stagionali.
L’adolescenza è un’isola che si abbandona senza accorgersene, mentre hai lasciato la sponda ti giri ed è già scomparsa, in quel viaggio la vita mi ha portato da adulto a scoprire quei luoghi che avevo trovato da bambino tra le pagine dei libri.
Io siciliano figlio del fuoco dell’Etna e del vento delle Eolie, ho sentito il richiamo di quella terra che Jules Verne fece raggiungere dai suoi protagonisti, per poter discendere al centro della terra dal cratere del vulcano Snaefells.
Una terra lontana dal resto del mondo, che si specchia nel ghiaccio polare, la costa nera che ti coglie di sorpresa dall’aereo dopo ore di solo mare.
Islanda, terra del ghiaccio e del fuoco, di acqua che bolle, di cascate fragorose, di terra che fuma, di distese infinite.
Durante le notti della mia adolescenza segnate dai pensieri scaturiti dai libri, mi chiedevo se esistesse ancora un angolo di mondo, un pezzo di terra, che non fosse ancora stato calpestato dall’uomo, se davvero esistesse una terra infinita.
Nella terra del ghiaccio ho potuto provare il senso della solitudine più vera, dove il tempo diventa una misura incompressibile, dove lo spazio è l’infinito.
Terra di conflitto eterno, in cui spesso chi ci va lo fa anche per trovare qualcosa.
Lo abbiamo scoperto su quel suolo noi gruppo di “sconosciuti”. Segnati nei giorni da inspiegabile meraviglia, ci siamo ritrovati per conoscerci meglio a parlare del più e del meno con la voce interrotta solo dal rumore dell’acqua e del vento.
Quelle persone che fino all'arrivo in aeroporto, fino a poche ore prima, erano solo dei nomi.
E mentre ti ritrovi lì a parlare, una cascata forma un arcobaleno, e all'improvviso ti accorgi di avere dei nuovi amici.
Le riflessioni che come un animale hanno avuto bisogno di tempo per uscire dalla tana, si sono riversate fuori, sorprendendoci con gli occhi rossi non solo a causa del vento incessante.
Quando la nostra voce era stanca, abbiamo ascoltato il silenzio, che in quella terra è il respiro della notte, il crepitio delle stelle, il rumore della terra che gira.
A quelle latitudini il vento solare gioca con il campo magnetico terrestre e la notte si colora.
C’è sempre qualcuno che la vede prima degli altri, come il primo dei migranti che sui bastimenti avvistava l’America. L’abbiamo attesa, sognata, l’abbiamo inseguita al buio lungo strade sterrate. Si è fatta aspettare, e quando il primo di noi finalmente l’ha vista, ha gridato <<l’auroraaaa>>.
Lei ha riempito le nostre notti danzando in cielo con il suo vestito verde.
Oggi guardo la cartina e fatico a credere che quella piccola isola ai confini del mondo, con pochissimi nomi geografici, possa nascondere così tante meraviglie.
Il vento che prende alle spalle, i laghi, i sassi, i rilievi, le strade desolate.
Le tempeste di neve che assillano le vette. Le criniere dei cavalli tormentate dal vento. Il crepitio del ghiaccio, l’aria, il respiro della terra. Una stalattite che gocciola. Le barche sui canali. La neve eterna.
L’Islanda ci ha regalato un film sullo schermo del cinema all’aperto più grande del mondo, l’aurora ci ha salutato sulla baia di Vik con una luna gigante ad illuminare la spiaggia e i faraglioni.
Nella vita credo non ci sia nulla di predeterminato, ma tutto quello che accade non costituisce che una catena di combinazioni. L’aurora sarebbe stata solo una semplice aurora, la luna solo la luna, il mare solo il mare. L’Islanda solo un viaggio. Se non per il fatto che nell’insieme delle combinazioni non fossero apparsi i nostri “sconosciuti”.
In Islanda non c’è tempo e spazio per il dolore, se non nei racconti che confidiamo ai nostri “sconosciuti” diventati ormai compagni.
Dedico l’ultimo pensiero a voi. A chi ha compiuto il suo primo viaggio, a chi ha chiuso le ferite, a chi è scivolato sul ghiaccio, a chi ha fatto indigestione di squalo, a chi ha pianto, a chi non ha dormito, a chi è caduto, a chi si è rialzato.
Il viaggio è stato il nostro rifugio.
Se Verne tornasse a scrivere oggi di quella terra, ci racconterebbe una nuova avventura.
Mi piace pensare che l’Islanda sia definita la “terra del ghiaccio” perché riesce ad imprigionare tutta la freddezza che ogni visitatore porta con sé, quel ghiaccio che nella vita quotidiana creiamo per la troppa fretta, per i troppi problemi, preoccupandoci di cose superficiali senza notare più i piccoli miracoli quotidiani.
Quando invece giunti in questa terra “dell’essenziale”, ci accorgiamo che basta poco per vivere con più energia e fiducia.
Ed è per questo che tutti lasciano questa terra con gli lucidi, perché quel ghiaccio che ognuno si porta dentro, lasciando l’Islanda si scioglie e si trasforma in lacrime.
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