Varsavia, un viaggio sotto zero

Tre siciliani a gennaio nella capitale polacca

Non ci ho messo molto ad entrare nel clima giusto di un viaggio a gennaio in Polonia, diciamo che la prima volta che ho sentito freddo è stata appena uscito dall’ aeroporto di Varsavia. Io siciliano dentro, ci ho messo appena un minuto per cominciare a battere i denti.

Quando paralizzato e sconvolto arrivo all'ostello, il ragazzo alla reception mi guarda con un sorriso e mi rassicura, <<domani andrà meglio, quest’inverno non sta facendo freddo>>, il mio cellulare segnava in quel momento la mezzanotte esatta e una temperatura di -8 gradi!

La mattina dopo ci ritroviamo pronti con le nostre attrezzature da freddo estremo, con pigiama sotto il pantalone (come ci hanno insegnato le nostre mamme ai tempi della scuola elementare) e diversi strati di pile.

Varsavia d'inverno, si presenta al viaggiatore con l’aria che odora di gelo, e una faccia colorata ma dall'atmosfera un po’ nostalgica.

Città rinata dopo la seconda guerra mondiale, quando l’80% delle sue costruzioni venne distrutto dai bombardamenti.

Quello che vediamo oggi della città vecchia è stato interamente ricostruito, anche grazie a un pittore italiano, i cui dipinti furono presi come modello per la ricostruzione.

Varsavia ha molto meno da mostrare rispetto alle città polacche di Cracovia o Danzica, ma riesce a colpire portandoti in un’atmosfera intima, quasi familiare. Nelle living rooms degli ostelli pieni di giovani, al caldo di un caffè, mentre la radio suona Chopin e la neve comincia a coprire ogni cosa. Le piazze, le panchine, i passeggini, gli alberi, le altalene, le divise delle guardie, i binari del tram.

Nel periodo natalizio la città mostra tutta la sua magia.

La sera accende le luci delle decorazioni e tutto si trasforma in un viaggio lieve, ovattato, un’opera perfetta, in cui anche il freddo pungente sembra avere finalmente il suo ruolo e la sua parte principale.

Il bianco ci circonda. Blocchi di ghiaccio scorrono sulla Vistola in viaggio verso il Mar Baltico.

Il fiume che taglia Varsavia, fu durante la seconda mondiale la linea del fronte fra i liberatori russi e gli invasori tedeschi, anche se gli anziani del posto non sono certo convinti della definizione di “liberatori”.

Simbolo degli anni del comunismo è il “Palazzo della Cultura e della Scienza”, voluto da Stalin come un “dono” del popolo russo a quello polacco. Oggi è monumento controverso, che suscita malcontento e la volontà di abbatterlo. <<I polacchi non parlano del periodo comunista molto volentieri>> a dircelo è Mateusz, ragazzo polacco che da un anno svolge l’ Erasmus a Cagliari.

Ci confida che i suoi genitori, come i suoi nonni, hanno sempre evitato di discutere in casa della sofferenza e delle privazioni degli anni duri del comunismo.

Una terra spesso contesa, che durante i sui anni difficili “non ha conosciuto altro che incertezza e costante povertà, interrotta solo da tremendi attacchi di panico”. Oggi finalmente libera e aperta di mostrarsi al visitatore che vuole sentirsi a casa, magari andandoci ben coperto!

La Polonia ci saluta con un ultimo show invernale. Una fitta nevicata ci accompagna mentre saliamo sull’aereo, decine di spazzaneve in continua azione non riescono a liberare la pista, l’aeroporto viene chiuso, le ali vengono spruzzate di liquido antigelo e i finestrini a tratti sono completamente oscurati dalla neve.

Dopo tre ore fermi in pista, finalmente la voce del comandante ci annuncia <<è in corso una schiarita, tenteremo il decollo>>. Tenteremo(???).

Mentre l’aereo si alza dal suolo polacco, Mateusz mi guarda dal posto accanto e con un sorriso calmissimo mi ripete <<quest'inverno non sta facendo freddo>>. 

 

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